Il grande insegnamento che riceviamo dalla malattia riguarda principalmente due cose: la paura di sopravvivere e la scelta di vivere. Non sono due aspetti che derivano dalla malattia: sono aspetti sui quali la malattia ci chiede di risvegliarci. Inconsciamente dalla prima infanzia impariamo a temere noi stessi, e quindi la vita così come individualmente la percepiamo; inoltre siamo collettivamente immersi in un campo energetico di paura, e questa è una delle ragioni per cui ci ammaliamo sempre di più. La malattia viene a suonare la sveglia: “Voglio vivere veramente?” Se veramente lo voglio, mi serve essere cosciente della paura….e imparare a procedere tenendola per mano…
Pongo una riflessione interessante: come mai un mammifero animale, quando si ammala, non entra in uno stato agitato di paura/emergenza?
Il sistema intelligente dell’animale mammifero non contempla la malattia come un evento di sopravvivenza, bensì come un normale evento biologico; riporta l’animale malato in un set up di riposo, rilassamento, auto accudimento e auto cura di sé; e riduzione dell’azione muscolare/fisica.
Perché allora noi mammiferi umani associamo la malattia alla paura della morte?
Perché tendiamo comunemente a leggere la paura solo dal nostro sistema protettivo, di allarme?
Perché noi umani arriviamo a generare l’ipocondria, che è anche peggio di tante semplici malattie corporee?
Occorre avere un minimo di chiarezza e informazioni rispetto alla paura:
· È un sistema di default presente nel nostro organismo corpo/mente
· È progettata per tutelarci dal pericolo e dalle aggressioni/minacce, così come negli animali mammiferi
· Risponde a percezioni ignote alla memoria esperienziale e quindi, dal punto di vista del codice protettivo, pericolose a priori
· Produce reazioni corporee e comportamentali, aumentando le energie fisiche a disposizione negli apparati preposti alla fuga/attacco
Nei mammiferi, non esistendo per loro il concetto di morte, non esiste la paura della morte o della malattia come potenziale pericolo di morte
Gli umani, a differenza dei mammiferi, possono invece allucinare la paura:
– per fattori esistenziali (e non di sopravvivenza fisica/territoriale)
– come per esempio la paura di non essere all’altezza (che nell’animale non esiste)
– credono in un qualche concetto di morte: morte = vuoto – dissolvenza – assenza – abbandono – non ritorno
– allucinano quindi la paura della morte in associazione agli aspetti sopra citati, che sono tutti esistenziali e non biologici
Esempio: se vado su un ponte a fare bunjee jumping, che sia per me la prima volta, sia che io lo abbia già fatto, di fronte al vuoto del salto inevitabilmente sentirò la paura biologica, quella di default. Poi razionalmente posso informarmi sul fatto che il 99,9% di chi salta torna indietro integro e sano: posso vedere che chi ha saltato prima di me è tornato eccitato e gasato; cioè posso fornire al mio cervello cognitivo un riferimento sicuro di ritorno dal salto; conseguentemente trovo la forza di saltare, pur avendo con me la paura. L’unione della presenza consapevole a se stessi e alla paura stessa corrisponde a ciò che chiamiamo coraggio: infatti, prima del coraggio, hai sentito paura: giusto?
Riportando tutto questo alla malattia e alla paura della morte: non abbiamo nessun riferimento razionale e sicuro da dare al cervello rispetto alla morte; per il semplice motivo che chi è entrato nella dimensione extra corporea non è mai tornato a dirci che di là va tutto bene…. E se in pochi sporadici episodi è accaduto, collettivamente permane il panico rispetto al morire.
Ma come mai la diagnosi di una malattia dovrebbe farci pensare alla morte e quindi inculcare in noi la paura?
Perché la malattia mette in discussione l’intero set up di vita, così come ci crediamo e come lo abbiamo costruito: se mi sono occupato primariamente di sopravvivere, per sedare la mia insicurezza esistenziale, avrò timore di ogni piccolo evento che metterà in crisi il mio set up protettivo/anti paura da sopravvivenza.
Aggiungo inoltre alcuni fattori collettivi di informazione terroristica rispetto alla malattia:
– il primo terrorismo è che non si insegna una pro/attività rispetto alla malattia
– si insegna a delegare la propria guarigione a qualcuno e a correre a comprare farmaci (quelli vengono pubblicizzati, l’educazione alla pro-attività no)
– non viene sviluppato il senso dell’auto accudimento
– rimaniamo tutt’oggi ignoranti (non in termini informativi, bensì in termini di attuazione consapevole) rispetto all’interazione mente/corpo, pensiero/salute
– non conosciamo le potenzialità di auto riparazione del corpo e le modalità con cui esso le attiva
– il sintomo è già segnalatore di un processo di auto riparazione, mentre noi lo leggiamo come un pericolo da annientare
La malattia costringe a uscire dalla propria zona di comfort.
E’ la personalità a essere molto turbata da ogni evento che può destabilizzare il suo set up fisso di abitudini e comportamenti, non il corpo: la personalità è refrattaria al cambiamento
L’ego/personalità è terrorizzato dalla morte:
– l’ego nel vuoto non esiste, non può contemplarlo
– ogni cosa che può ricondurre alla morte/vuoto, come una malattia, per l’ego/personalità è pericolosa e quindi carburante per allucinare paura biologicamente infondata.
L’ego/personalità è una struttura protettiva che nasconde la nostra vera identità: viene infatti definita Falsa Immagine di Sé. È un meccanismo che si fonda su memorie di mancanze e traumi, e che vive costantemente in un attrito; l’attrito di come in quelle memorie negative ci siamo spezzati in due:
– da un lato vive la forza della parte di noi che ha subito la mancanza, che ha vissuto un trauma: e che vuole intelligentemente far emergere alla luce della coscienza ciò di cui necessita, per essere liberata e reintegrata
– dall’altra c’è l’allucinazione protettiva che è diventata un punto fermo della Falsa immagine di noi, con cui abbiamo reso accettabile qualcosa che non lo era; e che contrasta la prima forza per non farla emergere
– questo attrito è l’humus che genera malattie da dualità, come il cancro o le autoimmuni nel corpo; o la schizofrenia nel mentale
Perché quindi, come degli automi, crediamo e diamo valore e a una paura allucinata, figlia di una credenza inconscia altrettanto allucinata, fasulla e disfunzionale?
Semplifico la risposta: sin dalla prima infanzia abbiamo imparato a temere la nostra potente vitalità; nella paura di chi siamo siamo stati obbligatoriamente costretti a temere anche la potenza della vita = abbiamo paura di vivere veramente.
Tutto questo ci fa comprendere che c’è una stretta correlazione tra malattia, paura e ego/personalità: si evince così una interessante equazione
Se la malattia spaventa la personalità
E se è vero che l’ego/personalità è una struttura protettiva
che nasconde la nostra vera identità
Allora la malattia può aiutarci a smascherare la personalità
Per ricondurci all’individualità/Essere
Se entriamo nell’individualità (dal latino individuus = ciò che non è divisibile = no dualità/attrito) annulliamo l’attrito malato della personalità
E cosa farà il corpo liberato da quello storico attrito?
Sarà disoccupato dal continuo tentativo di riparare i danni causati dall’attrito
E certamente liberato dal dover per forza di cose manifestare sintomi di malattia.
Pertanto chi conosce solo la falsa dimensione dell’ego/personalità sarà sempre costantemente allarmato dal variare del proprio stato corporeo: e terrorizzato in caso di diagnosi di malattia; per questo l’ipocondria sta diventando un fenomeno collettivo, gli ospedali sono stracolmi e le malattie aumentano incessantemente di numero e di varietà.
Per chi invece si dedica alla conoscenza e incontro con il proprio Essere/Individuo, la malattia rappresenterà sicuramente
almeno tre cose:
1. Il ricordare amorevolmente che il corpo è mutevole e con il tempo va a spegnersi: si può ammalare e questa opzione è un evento da includere nella normalità di una esistenza
2. un segnale che c’è in ballo un po’ di falsità e relativo attrito interno
3. che è tempo di dedicarsi allo splendore sano dell’Individuo
In ogni caso, è inevitabile che al ricevimento di una diagnosi di malattia scatti la paura:
– se i sintomi ci sono sconosciuti (difficilmente si va in panico se il naso cola per un raffreddore…. Ci ricordiamo di quei sintomi, li conosciamo…)
– se non si è mai dovuto fronteggiare malattie impegnative
– o perché, come negli animali, quella malattia ci è sconosciuta e mnemonicamente risulta quindi senza riferimenti esperienziali propri e sicuri.
In quel momento, un po’ come sull’esempio del ponte, abbiamo un’opportunità: con quale riferimento interno
(pensiero, emozione, stato interiore) rispondo alla paura?
Non potrò evitare che scatti la paura biologica legata a percezioni a me finora ignote: per questo abbiamo visto che, se le diamo in risposta un riferimento sicuro, essa non ci paralizza e ci permette di saltare nell’esperienza
Il riferimento sicuro da fornire al cervello cognitivo, affinché sia informato e produca una reale percezione di sicurezza,
deve essere un riferimento prima di tutto esistenziale:
– sì, perché nessuno ha in mano la manopola che decide quanto a lungo vivrà il corpo….
– mentre tutti abbiamo in mano la manopola di come vogliamo stare nelle cose che viviamo…. A cura di Abheeru R. Berruti
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La malattia è una straordinaria occasione per essere consapevole. Quando la malattia è lì, ricordati che ci sei anche tu. Lei è ospite nella tua casa: ha bussato alla tua porta e per qualche tempo ti farà compagnia. Tu sei l’oste: la casa è tua. Ricordati dell’oste.
Per aiutarti a ricordare, ecco per te un brano di Osho (liberamente tradotto):
La consapevolezza è così vicina quando stai male; è proprio lì, al tuo fianco. Deve essere così; altrimenti il male non può essere curato. Dev’essere vicina a sufficienza da poter sentire il dolore, da poterlo conoscere, da esserne consapevole. Ma a causa di questa vicinanza spesso tu ti identifichi con il dolore. E’ una misura di sicurezza, del tutto naturale. Quando hai male la tua consapevolezza deve andare di corsa verso il dolore – per sentirlo, per fare qualcosa a riguardo. A causa di questa vicinanza avviene l’identificazione.
Osho continua dicendo che tu non sei ciò di cui puoi diventare consapevole; tu sei colui che ospita tutte queste sensazioni e stati d’animo che vanno e vengono. Non perderti nella folla di ospiti.
Ricorda che tu sei l’oste.
Ricorda l’oste. Quando arriva l’ospite, ricordati dell’oste. E ci sono così tanti tipi di ospiti: piacevoli, dolorosi; ospiti che ti piacciono, ospiti che non desideri, ospiti con cui vorresti convivere, ospiti che vorresti evitare a tutti i costi. Ma sono tutti ospiti. Con costanza, ricordati che tu sei l’oste, resta centrato in questo. Così ti accorgi che c’è una separazione – uno spazio, un intervallo – il ponte si spezza… allora tu sei nel [dolore] non sei il dolore. Allora tu puoi fare esperienza dell’ospite dolore senza essere identificato con esso, restando l’oste. Allora non c’è alcun bisogno di scappare dall’ospite – non ce n’è alcun bisogno.
A cura di Vistara Elena Fammartino
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La terza settimana entriamo in contatto con la paura che portiamo, ma che non siamo.
La paura della paura…nello sforzo costante di controllarla, non ci rendiamo conto di quanto potere diamo a questa emozione che in origine è un elemento importante e necessario con cui il nostro sistema ci avverte di un pericolo. Nella normalità essa, come tutte le emozioni ha una durata breve (circa novanta secondi), ma con il tempo diventa più presente ed estenuante, soprattutto in situazioni che richiedono lucidità e determinazione. C’è un modo per viverla senza perderci in essa? La potente energia che è in noi e ci travolge? La domanda è spontanea, soprattutto in situazioni difficili. Nei casi dove il corpo deve occuparsi della sopravvivenza fisica, nei quali è necessario che abbia tutta l’energia a disposizione per riparare, curare e rigenerare, subentra la paura o altra emozione che prende buona parte di energia per mantenere vivo lo stato di allerta. A lungo andare diventa spossante invece che di aiuto per il sistema, come una sirena di allarme che non è stata spenta nonostante l’arrivo dei soccorsi e continua a urlare disturbando l’operato degli esperti.
La pratica del respiro consapevole rinforza il contenitore, lo rende, alla nostra percezione, capace di contenere ciò che prima era impossibile, comprese le forti emozioni. L’ambiente interiore che andiamo a creare è uno spazio in cui possiamo lasciar manifestare, in cui conoscere, entrare in relazione nel “sentire” di quelle determinate sensazioni o emozioni che tanto ci prendono; possiamo imparare ad accettarle per ciò che sono e divenire a nostra volta elemento funzionale invece che resistente.
Il suono o voce cantata, come la definisco io, è uno strumento di espressione e manifestazione delle energie che sono all’interno di noi. È preziosa utilizzata come convogliatore, mezzo consapevole di esternazione. La possibilità di liberare ed evolvere suoni che ci educano all’ascolto della paura e ne ridimensionano l’idea che abbiamo di essa, agevola il percorso di centratura che abbiamo iniziato e amplia ulteriormente la comprensione di sé e di ciò che si sta vivendo.
A cura di Simonetta Buratti
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È ormai sempre più chiaro che non esiste una sola e unica medicina e che le strade della guarigione scorrono necessariamente attraverso l’integrazione di più saperi e di più prospettive. Nella mente di molti – ricercatori, medici e pazienti – si sta facendo strada la convinzione che il corpo e il cervello parlano fra loro e si influenzano reciprocamente, nella salute come nella malattia
Questa convinzione, già ben chiara nei saperi della Medicina Ippocratica e delle Medicine Orientali, trova oggi fondamento scientifico nelle Neuroscienze, nella Psico-neuro-endocrino-immunologia, nella Medicina Centrata sulle Emozioni come ponte tra psiche e soma e nell‘Energia, come chiave essenziale della vita
Alla luce delle più recenti ricerche di neurofisiologia, scienze della psiche e fisica quantistica, vediamo i sette principi della potente interazione tra psiche e corpo nei processi di guarigione, fornendo risposte scientifiche agli interrogativi sui meccanismi che la attivano e individuando le terapie che consentono di accendere questi interruttori profondi
1) Non possiamo più prescindere dal concetto dell’unità psichesoma, se vogliamo governare davvero e profondamente i processi di cura e guarigione. La guarigione autentica e completa passa necessariamente attraverso la cura delle ferite psichiche o il superamento dei blocchi emozionali, dei nodi esistenziali, degli schemi e delle credenze limitanti
2) Subconscio e inconscio esistono e guidano la vostra vita molto, molto di più della parte conscia e della mente razionale
3) Le emozioni sono centrali per la nostra sopravvivenza e per il nostro benessere psicofisico, ma anche la fonte delle capacità di autoguarigione e riparazione dallo stress
4) La nostra vita e la vita tutta intorno a noi, ha un’esistenza energetica. Esiste una completa interconnessione, una matrice che sottende la materia in cui le leggi spazio-temporali non esistono più. Le vibrazioni e possibilità di trasformazioni istantanee
5) Esistono differenti piani di esistenza e la guarigione completa passa proprio dal raggiungimento dei piani superiori: i piani animici e spirituali
6) Oggi esiste la possibilità di impiegare una medicina integrata che, sulla base di studi rigorosi e scientificamente validati, vada sempre più nella direzione di attivare la salute dall’interno
7) Si può avere una chiave di lettura di ciò che accade nell’unità psichesoma, mettendo in relazione il disturbo con il piano di esistenza da cui probabilmente origina, per comprendere quale intervento sia preferibile utilizzare
*Dunque se si parte da una situazione di sanità, ci si ammala e questo vuol dire che stiamo chiedendo a noi stessi di comprendere qualcosa che la malattia stessa rappresenta.
Il guarire vuol dire comprendere le cause della malattia e risolverle. Il soggetto malato, se decide di guarire, cercherà una soluzione e, se comprende che, per guarire, deve acquisire consapevolezza di sé, metterà in atto una strategia opportuna. A questo punto può decidere di non voler ricordare cosa ha creato il suo problema cioè decide di guarire, ma non di acquisire consapevolezza del significato della propria malattia. Inevitabilmente la sua coscienza lo riporterà a seguire il loop e tornare ad avere la malattia perché lui possa decidere in un giro di giostra successivo di cambiare strategia. Fino a quando il soggetto non decide di rivivere il momento della propria iniziazione alla malattia, riconoscere ciò che non è armonico e correggerlo, rimarrà malato. Il medico al massimo può insegnare come guarire, ma non guarisce perché la guarigione è legata alla consapevolezza che ognuno deve seguire: un cammino di propria coscienza (autocoscienza) e non utilizzare la coscienza di altri perché ciò non funzionerà mai.*
(Da Corrado Malanga)
A cura del Dott. Devalaya Claudio De Santi