Per poter instaurare una relazione collaborativa con la malattia, ci è necessario passare dalla frequenza mentale a quella del Sentire. L’attività del mentale divide le esperienze che viviamo per categorie: giusto o sbagliato, vero o falso, ecc….: nella frequenza mentale assistiamo a un continuo oscillare di pensieri schizofrenici, dove un giorno leggiamo gli eventi in un modo e il giorno dopo li leggiamo al contrario; un giorno siamo positivi, un giorno negativi.
Questa altalena giudicante non è di nessun beneficio: genera stress perché non porta a nessuna realizzazione; senza una accettazione e comprensione rispetto a quanto ci accade non ci possiamo rilassare, costringendo il corpo a una condizione di tensione e limitandolo nella sua naturale capacità di riparazione.
Dobbiamo però prendere coscientemente atto che, se siamo malati, la malattia è con noi; non si può dividere questa fattualità, è così.
Ciò che diventa urgentemente necessario quindi, soprattutto in caso di malattie importanti, è di creare una neutralità di giudizio rispetto a quanto viviamo, per poter stare con ciò che è in una condizione di serenità. Per poterlo fare dobbiamo ripristinare la nostra connessione consapevole con l’Intelligenza Sensibile, che è la forma di intelligenza più elevata di cui siamo dotati.
Nel Sentire siamo predisposti all’unione, a includere quanto c’è di vivo in noi, anche la malattia: per accedere al Sentire ci serve scavare il sentiero che ci conduce al nostro mondo interiore, quello che in Malattia & Felicità chiamo lo Spazio Interno.
E’ la dimensione dell’Essere, e non del mentale: la malattia non significa solo che il corpo è malato, perché il corpo non è scindibile né dal mentale né dall’Essere (ti chiami Essere Umano, Essere ….. ricordi?): se il corpo si è ammalato significa che da qualche parte, dentro di noi, c’è un mentale ammalato che rende infelice il tuo Essere.
Dallo Spazio Interno dell’Essere, vuoto, accogliente e pacifico, possiamo leggere l’evento malattia come una parte di noi, e non come un nemico: e imparare a trattare la malattia stessa per ciò che è, cioè un’informatrice di malessere prima di tutto esistenziale che viene da noi per risvegliarci a qualcosa, non per punirci.
A cura di Abheeru R. Berruti
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Cosa dice la Medicina Tradizionale Cinese della malattia.
Per comprendere come i Cinesi consideravano la malattia, bisogna premettere alcuni concetti.
Yin e yang sono la tela della vita, l’origine di ciò che esiste e del suo trasformarsi. C’è poi una stretta correlazione tra yin e yang e la presenza dell’uno all’interno dell’altro: le nuvole sono nel cielo, derivano dal qi del cielo, ma sono ‘qi della terra’ che sale verso il cielo. La pioggia va alla terra, deriva dal qi della terra, ma è qi del cielo che scende verso la terra. Le nuvole sono infatti vapore che sale dalla terra grazie al calore del cielo che rende sottile l’acqua, la pioggia scende dal cielo perché il vapore si condensa con il freddo.
Nella concezione dinamica cinese fondamentale sono le qualità funzionali, il tipo di azione, la direzione del movimento: lo yin è quiete, un andare verso l’interno, ricettività; lo yang è movimento, un andare verso l’esterno, attività, lo yin concentra, fa scendere, raffredda, lo yang espande, fa salire, riscalda.
In medicina la relazione tra yin e yang è la base che permette di comprendere fisiologia e patologia e che guida il processo diagnostico, i principi terapeutici e il trattamento.
In generale lo yin nutre, lo yang muove, lo yin conserva, lo yang trasforma.
La coppia cielo-terra si estende ai concetti di alto e basso e di movimento di salita e discesa.
Nel corpo umano si distinguono parti yin quali l’addome, l’interno del corpo, il basso, rispetto a zone quali il dorso, la superficie, l’alto che sono yang.
La pelle ad esempio è yang rispetto alle ossa, che sono profonde, gli organi sono yin – conservano – e i visceri sono yang – trasformano.
Il corpo è materia-yin rispetto alla funzione che è movimento-yang.
Il sangue è yin rispetto al qi, che è più sottile.
Le polarità yin e yang rimangono comunque complementari e si definiscono sempre e solo all’interno del rapporto tra i due elementi della coppia.
Nelle coppie degli otto principi diagnostici yin si riferisce a interno, freddo e vuoto, yang è esterno, calore, pieno.
E’ di ordine yin una patologia che ha caratteristiche di freddo, persiste nel tempo, ha un’insorgenza lenta, mentre appartiene allo yang se mostra segni di calore, cambia rapidamente, presenta un andamento acuto.
I vari processi patogenetici sono riconducibili alla relazione tra yin e yang.
L’insufficienza o l’eccesso o di yin o yang danneggiano il polo opposto.
Se lo yin è insufficiente si ha un eccesso relativo di yang, con manifestazioni di fuoco che derivano dal vuoto di yin: ne è un tipico esempio la sindrome climaterica con vampate, sudorazione notturna, irrequietezza, bocca secca, cioè manifestazioni di calore che sale all’improvviso all’interno di una condizione di vuoto. Situazioni analoghe sono quelle in cui lo yin è consumato dall’eccesso di lavoro mentale, da preoccupazioni e ansia: l’irrequietezza di giorno e l’insonnia di notte mostrano come la perdita della radice faccia “galleggiare” lo yang.
D’altro lato nei quadri di debolezza dello yang si ha un prevalere di segni e sintomi yin: debolezza, astenia, freddo, pesantezza, accumulo di liquidi.
Il termine Qi viene tradotto generalmente come ‘energia’, ma a volte anche come ‘soffio’ o ‘forza vitale’. Il Qi è l’energia che muove e che permette la vita dell’universo e dell’uomo, dal suo condensarsi, originano tutte le manifestazioni dell’esistente.
Il Qi è sostanza sottile, è materia ed energia (l’onda e la particella della fisica quantistica) allo stesso tempo, è vitalità indifferenziata e articolazione in forme più specifiche.
Il Qi dell’uomo è parte del Qi dell’universo ed è specifico del singolo individuo, costituisce il corpo umano nel suo complesso e lo fa funzionare.
A cura del Dott. Devalaya Claudio De Santi
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In questo secondo appuntamento facciamo un passo di amplificazione della percezione del corpo come contenitore flessibile, con il respiro consapevole. Questi passaggi consentono di fare esperienza sensoriale interna del corpo e muoversi così dalla convinzione di esso come figura o forma esterna in cui ci identifichiamo, a un mondo vivo che ci contiene e che ha una diversa possibilità di confine. La percezione dei suoi limiti è determinata dal senso che abbiamo di esso, dall’idea di “come ci percepiamo”.
Il corpo comunica, ci parla costantemente, attraverso le sensazioni e le emozioni; esso ci da sempre un riscontro nel qui e ora del suo stato, di modo che possiamo agire per il benessere generale. Purtroppo, quello che noi agiamo è determinato da abitudini acquisite e da regole di una società che ci vuole sempre al top, nella corsa impulsiva verso il “fare” e il “dopo”. Difficilmente siamo connessi alla sapienza interiore di stabilità.
Non è necessario stravolgere la propria vita e far crollare il sistema che abbiamo creato, ma è importante ritagliare dei momenti in cui possiamo ritrovare il centro di equilibrio HARA, o quanto meno inizialmente dargli una possibilità di collocazione.
IL CENTRO HARA:
Trovare e coltivare, con qualsiasi tipo di pratica, il proprio centro Hara è tornare al nucleo, avere un punto di vista più ampio e chiaro che permette di osservare la situazione, la relazione o la tematica che ci mette in apprensione, senza alimentare maggiormente l’emozione. Hara significa “pancia”, secondo il sistema energetico giapponese. È situato circa due dita sotto l’ombelico, nel quale è immagazzinata l’energia vitale originale, cioè l’energia con cui nasciamo, quella ereditata dai genitori, ma anche quella che ci connette alla forza universale. È molto importante potenziare la consapevolezza di questo centro energetico, poiché esso è il fulcro dell’asse del corpo e ristabilisce la connessione con l’energia originale permettendo l’accesso alle qualità insite e alla radicalità più profonda, lo “stato di presenza”. La pratica fondamentale della centratura nell’Hara, con l’uso della respirazione circolare lenta e profonda, aiuta a calmare la frenetica attività mentale e ritrovare la forza e vitalità, anche solo per pochi attimi. Gli esercizi sono di collegamento con questo centro attraverso una naturale postura di verticalità decontratta in cui si fa l’esperienza del canale vocale in cui scorre l’energia vitale, liberata dalle tensioni. In questo stato l’energia fluisce in un corpo che è maggiormente dinamico, presente e l’attenzione si concentra senza sforzo.
La conseguenza naturale è l’apertura del cuore che espande l’energia intorno a noi.
Nella mia storia personale ho collegato l’esperienza della centratura Hara con la giostra “Tagadà”. Da ragazzina avevo un amico che passava ore su quella giostra, in piedi al centro, muovendosi e accordandosi al movimento che cambiava; non cadeva mai. Io lo guardavo da sotto affascinata, la percezione che avevo di lui era di leggerezza e fluidità, come una pianta di giunco mossa dal vento in un mare di caos. Dopo molti anni, praticando la centratura ho compreso lo stato di “equilibrio instabile” ricordando il mio amico. La natura e quindi anche l’essere umano sono gestiti dal principio della continua evoluzione: caos, riorganizzazione ed equilibrio. Il corpo come ogni forma di vita risponde al principio dell’evoluzione nella flessibilità, perché è solo mantenendo lo stato di flessibilità che non ci si spezza. È la capacità di accettare il caos, entrare nel centro con duttilità mentre gli eventi si muovono e ci chiedono un costante allineamento alle forze della vita. L’emissione vocale e sonora in questa pratica aiuta a radicarsi in basso, sulle gambe, nelle caviglie e nei piedi che ci ancorano al terreno, al qui e ora, lasciando libera la parte alta del corpo di muoversi e fluire con gli eventi.
La posizione ideale è in piedi, ma ho scoperto nel tempo e nella pratica, che nei momenti in cui non mi era possibile stare nella posizione, potevo acquisire la stessa qualità energetica ponendomi mentalmente in quella posizione e lasciando che nel corpo si creasse il canale centrale aperto alla respirazione libera ed energizzante. Questo mi ha fatto capire quanto sia importante e potente l’intenzione. Niente è impossibile se mi rilasso e lascio che accada.
A cura di Simonetta Buratti
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